domenica 24 luglio 2016

Memorie dalla cella (frigorifera) 1

I ragazzi ce l'hanno fatta. Sono usciti ieri mattina alle 8.00. Dalla stessa ora siamo entrati noi. eccoli belli e sorridenti nonostante abbiano sperimentato più di qualche momento difficile.








































giovedì 21 luglio 2016

I morituri

Eccoli qui. Il gruppo di controllo che è entrato ieri mattina alle 8.oo nella stanza per la ricerca sugli ambienti estremi del CERISM di Rovereto.

Cinque laureandi della nostra facoltà, la meglio gioventù del Triveneto.
Soggiorneranno 72 ore dentro la stanza, con temperatura e percentuale di ossigeno che replicano esattamente 72 ore della spedizione al Denali.

Dovranno anche replicare il carico di lavoro fisico su dei trademill adattati che riproducono la sensazione e il peso della slitta.

Sarà interessante studiare le dinamiche di gruppo. Specialmente quando Enrico, il secondo da sinistra nella foto in alto, un ex-rugbista da un quintale con un metabolismo da 3000 calorie al giorno si avvicinerà al borsone comune che contiene il cibo. E si accorgeranno che hanno sbagliato a calcolare il cibo necessario.






Intanto fuori c'é chi se la ride.....

martedì 21 giugno 2016

CLIMBING DENALI -PHOTO GALLERY 2


Ela sopra il Windy Corner


Il Campo 4


Il Campo 4


Verso il Campo 5


Le corde fisse dell'Headwall a 5.000 metri 


Il campo 5


Sotto al Denali Pass (5.600 metri)


Sulla vetta


Toccando il segnale trigonometrico di vetta





lunedì 20 giugno 2016

CLIMBING DENALI - PHOTO GALLERY 1

Preparando i 50 kg. di materiale individuale al volo


Il Denali dalla tundra nei pressi di Talkeetna




Decollo da Talkeetna


In volo sulla tundra


L'aereo in fase di atterraggio sul Kahiltna Glacier -1


                                         L'aereo in fase di atterraggio sul Kahiltna Glacier - 2



Sbarcati! (Addio civiltà..)


Il Campo 1


O traini la slitta, o scali, o sciogli la neve... oppure TEST...


...test....


....ancora test.....


....sempre test!!



il Campo 3


L'epica salita con le slitte dal Campo 3 al Campo 4 lungo la "Motorcycle Hill"



lunedì 13 giugno 2016

IN VETTA!

La prima parte della missione Alaska Stress Challenge si è conclusa con successo.
La vetta è stata raggiunta domenica e a mezzanotte i 4 sono ridiscesi al campo 5. Martedì sera il team ha fatto rientro al campo base.

I 4 componenti in vetta


Ela in vetta vicino al geoide metallico che caratterizza la cima
I 4 al termine dell'ascensione

In luglio comincerà la seconda parte del test scientifico consistente nel riprodurre in laboratorio le condizioni ambientali di stress misurate durante l'ascensione.



sabato 11 giugno 2016

SIAMO AL CAMPO 5 !

Abbiamo raggiunto ieri il Campo 5. Se il tempo permette domenica la spedizione salirà in vetta. Grazie e a presto.


domenica 29 maggio 2016

IL PESO DELLA SCIENZA

Si tratta di vari chili. Tra pc militare, corazzato ed impermeabile, saturimetri, pannelli solari, cardiofrequenzimetri, GPS, termometri, diari, scale soggettive e quant’altro….



A che serve tutto ciò?  A misurare l’impatto di un ambiente stressante su organismi allenati. 

Quello stesso ambiente sarà poi riprodotto in laboratorio con una fedeltà quasi assoluta (stesso livello di ipossia, stessa dinamica delle temperature, uguale carico di lavoro fisico). Questo è possibile perché il CERISM possiede una camera per la ricerca negli ambienti estremi: la camera è in grado di riprodurre con una fedele successione temporale l’andamento della temperatura e della saturazione dell’ossigeno che saranno stati misurati nei tre giorni target della scalata.


Ecco il famoso, pesantissimo Pc militare blindato. Indovinate chi se lo trascinerà? Sicuramente uno che -toccasse a lui- non sorriderebbe così....

Ci toccherà soggiornare quindi per tre lunghi giorni in quella stanza. Sai che allegria… Ci alterneremo prima noi e poi un gruppo di quattro soggetti che formerà un gruppo di controllo. Tre giorni a testa. L’obiettivo è capire quanto impatti la percezione dell’ambiente nel generare risposte di stress individuali. Vale a dire: se riproduco nella camera condizioni fisiche quasi identiche all’ambiente naturale, a parità di condizioni dove è maggiore lo stress percepito? Lì o in alta montagna? Chi dice che in camera si sta meglio, lo pensa perché ritiene che sia decisivo l’aspetto ansiogeno legato all’ambiente di alta montagna. Nella camera – in effetti –di pericoli naturali (valanghe, crepacci, scariche di sassi) non ce ne sono.

La camera per la ricerca sugli ambienti estremi al CERISM

Però qualcuno sostiene che l’ambiente della camera deteriora i processi sociali nel gruppo; e poi manca anche l’aspetto stimolante dell’ambiente.
Chi ha ragione? Lo sapremo quest’estate. A proposito: siamo in partenza...


martedì 24 maggio 2016

TE LI DO IO, I TEST...

Quando si nominano i "martiri della scienza" il pensiero tende ad andare a Galileo, a Keplero, a Giordano Bruno. Non dico che sia sbagliato, però dovreste cominciare a prendere un pochino in considerazione anche noi. Ieri siamo stati a Rovereto, al CERISM, e siamo stati immolati sull'altare della conoscenza scientifica. "Che sarà mai?" direte voi. Bene, vorrei vedervi al nostro posto. Beccatevi una bella riunione iniziale sul protocollo da seguire per testare la propensione al rischio in situazione di stress. 

















Poi beccatevi pure una serie di test cognitivi. Passate alla plicometria, ad una sessione di rilevazione della HRV e poi...la parte più temuta: il test massimale con misurazione del consumo di ossigeno. Confidenzialmente chiamato il "tappetone", uno dei tapis roulant del CERISM è così grosso che ci si può fare il test anche con gli ski-roll. Grosso più o meno come un Tiger Panzer della seconda guerra mondiale, ma molto più letale. 


In fondo il carro germanico si limitava a sparare solo qualche granatina da 75mm.; il tappetone ti fa esplodere dall'interno. Ti cucina lentamente, grazie ad un protocollo di test con salita progressiva che solo una mente segnata dal sadismo poteva concepire: e tu senti avvicinarsi il momento della crisi passo dopo passo, in un tempo dilatato dalla sofferenza. Poi, la beffa finale: quando tutto ti sembra finalmente terminato, devi ancora fare una riunione di condivisione dei metodi di monitoraggio dei vari parametri che saranno osservati durante la spedizione.

Ecco, ormai siamo quasi del tutto pronti anche sul versante scientifico. Avremo da portarci un mucchio di materiale per le misurazioni. ma questo è un altro capitolo di cui parleremo prossimamente.

giovedì 19 maggio 2016

TORNA A CASA, LASSIE

Quando confidai a mio zio che provavo un forte interesse “nei confronti della Nasa”, il pover’uomo pensò mi stessi riferendo a Maria “Canappia”, una compagna di classe. 

In realtà io alludevo alla “ National Aeronautics and Space Administration “, cioè all’agenzia spaziale statunitense. 

Ebbene, dopo tanti anni, la vita mi ha concesso una piccola rivincita. Perché oggi, seduto nella sala operativa della Garmin a Milano, ho vissuto un pochino l’emozione di chi sta nella stanza di controllo dei lanci spaziali.  Ho visto proiettare, sulla parete di fronte a me, mappe e foto satellitari del Denali, Uno spericolato susseguirsi di tracce e waypoints ha coagulato in un colpo d’occhio distanze che, in realtà, saranno misurate in forma di strazi muscolari e polmonari.


                           Le tracce GPS raccolte negli anni non coincidono. Colpa delle modificazioni dei ghiacciai?

Ma procediamo con ordine. In realtà è molto importante avere dei riferimenti spaziali all'interno di un ambiente che può improvvisamente diventare indecifrabile (vedi il post di qualche giorno fa intitolato "WHITEOUT"). Mettiamo, per esempio, che tu stia salendo ad un campo più alto. Cala la nebbia e perdi ogni riferimento visivo perché sei immerso in un mondo totalmente bianco. Se ti muovi casualmente rischi di finire in zone pericolose, dove il maggior pericolo sono i crepacci. I crepacci sono quelle simpatiche fratture che si formano nella superficie del ghiacciaio a causa del lento scivolamento dello stesso verso valle. Possono avere una profondità di alcune decine di metri e spesso sono coperte dalla neve, quindi invisibili al malcapitato passante. A voi piacerebbe, camminando sul marciapiede, cadere per una quarantina di metri in un tombino aperto? Se avete risposto "sì", allora potete omettere di continuare a leggere il presente post. Se invece pensate che in fondo non vi piacerebbe, allora dovete munirvi di un bel GPS. 

Il GPS è uno strumento che vi consentirà di tornare, per esempio, perfettamente a ritroso sui vostri passi- anche se nel frattempo neve o bufera avessero cancellato le vostre impronte. Oppure, se avete preventivamente memorizzato sullo strumento una traccia o una direzione, vi permetterà di proseguire in relativa sicurezza. Male che vada, vi permetterà di capire perfettamente dove diavolo siete finiti.

Qualcuno sarà scandalizzato. Ma come - ti sei convertito alla tecnologia? Ma no, tranquilli. Il GPS, come tutti i dispositivi tecnologici possiede una duplice valenza. Ci sono casi in cui l'utilizzo è realmente utile, dove addirittura può fare la differenza tra la vita e la morte. Altre volte la tecnologia diventa un surrogato inutile di nostre capacità naturali. Sapevate che la neuroplasticità del cervello è stata scoperta per la prima volta esaminando il cervello dei tassisti londinesi? Costoro, a furia di esercitare inconsapevolmente le capacità di rappresentarsi mentalmente il reticolo stradale, presentavano uno sviluppo maggiorato nelle aree cerebrali implicate nell'orientamento spaziale. Ma se il GPS diventa uno strumento che per pigrizia utilizziamo sempre, anche su percorsi mediamente conosciuti, accadrà il contrario del fenomeno dei tassisti: avrà luogo una progressiva atrofia della capacità di orientarsi nello spazio. L'uso sviluppa l'organo - diceva sempre quel famoso zio. A distanza di tanti anni non ho ancora chiarito se si riferisse solo al cervello.

P.S.: grazie a Massimo e Luca per la consulenza sull'uso del GPS in Alaska

martedì 17 maggio 2016

A spasso con la "creatura"

Ma no, non fate i sentimentali, per favore! La creatura di cui sto parlando non è quella a cui cambiavate i pannolini e asciugavate il moccio dal naso. Se vi aspettavate racconti di biberon e passeggini, cambiate canale.


La "creatura" è una bestia di zaino che oscilla tra i 22 e i 25 chili. Si fa in fretta a raggiungere certe stazze: dentro ci stanno sacco a pelo, tenda, ramponi, picozza, imbrago, pala, sonda, fornello, cose da mangiare, thermos, materassino e abbigliamento. E chi non porta la tenda, porta la corda. 

La vita stessa ci carica di fardelli. E' proprio da fessi caricarsene di ulteriori. Ma tantè... Il bello è che il nostro rapporto con la creatura ricalca quello che siamo soliti avere con i carichi della vita. Sicuramente nulla ci piomba sulle spalle tutto da solo, però ci fa comodo dimenticarcene. Ce ne lamentiamo per tutta la giornata e incolpiamo il disegno malvagio del destino: "Maledetto sacco, quanto pesi!". Eppure ce lo siamo caricati di nostra volontà.

E, come per tutti i fardelli, conta anche l'abitudine. A furia di portare pesi si diventa bravi a gestirli, dentro e fuor di metafora. E tante auto-certificate incapacità in questi campi sono puri alibi. La ricerca scientifica dimostra che la percezione è costruita culturalmente. Questo significa - udite udite - che NON è vero che i portatori sherpa o hunza siano "portati" (geneticamente?) a trasportare grandi carichi. Vuol dire semplicemente che il loro stile di vita li ha abituati a vedere i grandi fardelli come "possibili"; e che, a furia di trasportarli, hanno abituato anche il loro fisico al compito. Ovvero non è colpa dello zaino pesante: è la nostra schiena ad essere poco allenata.

Insomma, portare ogni tanto a spasso la "creatura" è un toccasana. Quando finalmente te lo togli dalle spalle apprezzi molto di più le semplici, rustiche gioie della vita. E il giorno dopo, quando la schiena ha recuperato, ti senti molto più forte di prima.

giovedì 12 maggio 2016

WHITEOUT


Quando si dice "andare in bianco"... 
Il Whiteout è quella condizione che si verifica quando un ambiente innevato si ritrova immerso nella nebbia. Il malcapitato perde velocemente il senso dell'orientamento e non capisce bene dove si trovi o cosa stia succedendo. Spesso si correla ad una condizione di stress psicologico e di ansia. A volte la stessa condizione esistenziale la si ottiene artificialmente quando il tasso alcolico supera certi limiti.



Inoltre scendere con gli sci in queste condizioni spesso provoca risposte neurovegetative caratterizzate da una forte nausea . Le sensazioni vestibolari provocate dai cambiamenti di equilibrio, ma prive del riferimento visivo, causano una risposta del tutto simile al mal di mare. Ecco perché, tra le regole di sopravvivenza dei Navyseals, una delle più ossequiate riguarda l'evitare pranzi a base di salamelle e salsicce in caso di Whiteout. Da qualche tempo il divieto è stato esteso anche alla Bagna cauda e alla Cassoeula.

Il Whiteout è una condizione che si verifica anche sulle Alpi, sebbene non esista nel nostro linguaggio una parola specifica che descriva il fenomeno. In Alaska, come in tutte le zone artiche, è estremamente frequente. Il vero pericolo in queste situazioni non è il perdersi di per sè; ma il finire in zone pericolose (crepacci, seraccate, canali soggetti a slavine) a causa della perdita della rotta. In un prossimo post vedremo quali sono le strategie da adottare in questi casi, e quali siano le soluzioni offerte in proposito dalla tecnologia.

mercoledì 11 maggio 2016

Grazie Andrea!

E’ una notizia vecchia, perché risale a qualche mese fa. Tuttavia, essendo io notoriamente poco pratico e un po’ a disagio con i social network, l’ho scoperta di recente. Andrea Giorda, celebre alpinista torinese, accademico del C.A.A.I., autore di innumerevoli vie innovative sulle Alpi e con alle spalle un lungo elenco di salite toste (ad esempio la seconda ripetizione italiana della Diretta Americana al Dru) ha battezzato  una delle sue ultime creature con il nome “Perseverare è umano”.


Così scrive Andrea: “Federica (Mingolla) accetta volentieri l’invito, al tiro ho già dato un nome emblematico che riassume questa storia, Perseverare è umano. E’ anche il titolo di un bellissimo libro di Pietro Trabucchi, psicologo dello sport. In due giri ne viene a capo, trova la metode per il passo chiave e gli ultimi metri li centellina riprendendo le forze con intelligenza. Mi immedesimo e resto col fiato sospeso fino all’ultimo.”

La via si trova sul Neverending Wall del Catteissard (che non è in Nord Dakota –zucconi che non siete altro – ma in Val di Susa). Si tratta, per la cronaca di un 8a.

Che dire ad Andrea? Grazie da un ciaparat che non potrà mai ripetere questa bellissima via a meno non gli si permetta di effettuare la scomposizione algebrica 8a= 4a+ 4a.  Cioè, scusa Andrea, non potrei scambiare una via di ottavo con due di quarto di pari lunghezza!?