lunedì 25 aprile 2016

Bisogna scegliere: alleanarsi o lamentarsi

Permettetemi ogni tanto un post che non c’entra con l’Alaska. Ieri a Verona, organizzato dall’Università, si è svolta “RUN for SCIENCE”:  maratona e ½ maratona dove la partecipazione è gratuita ma gli iscritti hanno l’obbligo di essere coinvolti in qualche studio od esperimento sugli effetti della gara. per esempio, come cambia l’equilibrio, la risposta muscolare, la composizione ossea e vari altri parametri tra cui la percezione del dolore.



Walter Fagnani, classe 1924, durante il test sulla tolleranza del dolore



E’ il terzo anno che raccolgo dati su questo tema e i risultati sono molto interessanti. Ovviamente anche la percezione del dolore non è un dato innato (anche se tendiamo a crederlo), ma qualcosa influenzato da stile di vita, esperienza, allenamento e volontà. Di fatto piccoli dolori quotidiani che una volta erano ritenuti piccoli fastidi inevitabili, oggi vengono trattati come emergenze insopportabili. Vengono “farmacizzati”, perché l’industria farmaceutica ha interesse a trasformare un semplice occasionale mal di testa in qualcosa che va subito gestito con la pastiglia (e idem per il bruciore di stomaco, il raffreddore etc..).  E’ chiaro che la percezione del dolore nelle persone è diversa oggi da quella dei membri di società “meno evolute”, o semplicemente di qualche decennio fa.

Ai profeti del farmaco facile e del dolore ingestibile vorrei far conoscere Walter Fagnani, classe 1924, podista che l'anno passato ha ultimato la 100 chilometri del Passatore a 91 anni in circa 18 ore. Noi come Università, anche in quel frangente, l'abbiamo seguito e studiato. Ieri nell'ultimo chilometro della mezza maratona ha staccato e seminato le due studentesse che l'Ateneo aveva ritenuto di affiancargli per motivi di sicurezza. E nell'esame sulla tolleranza al dolore, abbiamo dovuto interrompere la prova prima di aver sentito un solo lamento, per evitare di danneggiare i tessuti più fragili per l'età avanzata. Chiedo quindi ai sacerdoti del talento innato: ma chi è Walter Fagnani? Delle due una: o è l'eterno ritorno del superuomo a cui il cielo ha donato tutti i talenti. Oppure,  è semplicemente una persona che nella sua vita ha imparato a prestare meno attenzione ai fastidi, alla fatica e alle difficoltà per concentrarsi interamente sui propri sogni. Perché, o si sceglie di lamentarsi. Oppure si va avanti.

Walter Fagnani e lo staff dell'Università che l'ha accompagnato in gara (quello con la maglia azzurra a parte)

sabato 23 aprile 2016

A proposito di attrezzature

A fianco: Mallory e Irvine sull'Everest nel 1924


















Sotto: esploratori sull'Alaska Range nei primi del '900

Il progresso delle attrezzature -sportive ed alpinistiche - è straordinario e velocissimo.Osservo gli scarponi che ho avuto in dotazione per il Denali e li confronto con quelli che ho usato sull'Everest nel 2005, poco più di dieci anni fa (foto sotto). Eppure i nuovi pesano - a parità di protezione termica-un buon 30% in meno.
Da un lato, questo è fantastico.

Dall'altra parte non posso fare a meno di pensare alla grandezza degli esploratori del secolo scorso, a chi ha aperto nuove strade in Himalaia come in Alaska.
Penso a Mallory ed Irvine e alle attrezzature che avevano a disposizione nel 1924. Certo, tornare indietro non ha senso. Ma che coraggio e resilienza aveva questa gente!

giovedì 21 aprile 2016

Una lirica di Pierre d'Hemareiza: LA FEMMINA E L'ALASKA

In onore della "quota rosa"della nostra spedizione, abbiamo deciso di ospitare su questo blog una lirica del noto poeta Pierre d'Hemareiza.

LA FEMMINA E L'ALASKA

Assai si lamenta la femmina, sbuffa e barrisce,
allorché per l'Alaska d'allenarsi ambisce.


E se durante il percorso su qualche traverso esposto vien portata,
tosto ne consegue  qualche isterica sceneggiata.

Per fortuna si risolve in fretta codesta congiura,
essendo di molto semplice logica la femminile natura....

Infatti, una volta che al rifugio sana e salva si arraffa,
subito ogni male dimentica, grazie ad un pò di vino e alla caraffa.

E se gli Dei diedero ad ogni femmina cotale lamentosa insistenza,
per fortuna crearono anche il vino e la maschile resilienza!

                                        Pierre d'Hemareiza (1563-1616)

Termopili di ghiaccio: la cronaca del tentativo di record del 2008 (fine)

Sgomberammo le tende dagli accumuli di neve caduta che rischiavano di farle crollare, poi passammo a ripulire le slitte e i materiali che rimanevano fuori dallaccampamento. Fu qui che ci imbattemmo in un paio di scarponi protetti sotto una delle slitte rovesciate. Sono quelli di Jean disse qualcuno. In effetti erano proprio i suoi. Jean era sceso al campo base cinque giorni prima e aveva lasciato al campo 4 parte del suo materiale per non scendere trainando dietro di sé la slitta, con il rischio conseguente di finire trascinato in un crepaccio o giù da un pendio. Facemmo due conti e capimmo che da vari giorni Jean si trovava al campo base con gli scarponi da sci ai piedi. Infatti tutti avevamo con noi per ottimizzare il peso da trascinare solo due paia di scarponi: quelli normali e quelli da sci. Cominciammo a pensare che per i piedi di Jean la vita al campo base doveva essere ben poco confortevole; e che correva il rischio di ritrovarsi con le vesciche ai piedi proprio in vista del record.
Perciò decidemmo di fargli avere gli scarponi più confortevoli. Uno di noi li avrebbe portati al campo 3 che lui poteva raggiungere abbastanza agevolmente in allenamento dal campo base. Si trattava, tutto sommato, di un gesto altruistico. In fondo, per scendere dal campo 4 al 3 e risalire ci avremmo impiegato quasi una giornata. Tra andata e ritorno erano oltre 9 chilometri e 1000 metri di dislivello in mezzo a crepacci e slavine. Insomma, nulla di straordinario ma neppure una passeggiata. Il sorteggio designò me quale corriere. Scesi, lasciai gli scarponi e tornai. La sera in occasione del contatto radio informammo Jean che i suoi scarponi erano stati portati al campo 3. Ma Jean interpretò il nostro gesto come una pressione a tentare il record, come se stessimo già sgomberando il campo!
Nei gruppi, i non detti, cioè tutte le interpretazioni e le convinzioni che non vengono esplicitate e sottoposte allesame di realtà, producono tossine. Quando abbassiamo il livello di comunicazione in termini di quantità e di qualità, i non detti acquisiscono forza e vigore in maniera esponenziale. Si tratta di un pericolo insito in particolare in tutte le nuove tecnologie comunicative. Pensiamo alle email. Le email rappresentano uno strumento che priva la comunicazione di tutto laspetto non verbale da cui normalmente ricaviamo una gran quantità di informazioni, che sono essenziali per linterpretazione corretta del messaggio. Se per esempio riceviamo un messaggio email con il nostro nome scritto con liniziale minuscola, oppure senza saluti, ci chiederemo immediatamente se lomissione è intenzionale, oppure se è scherzosa o se è semplicemente frutto di una disattenzione generata dalla fretta. Essendo privi delle informazioni veicolate dalla comunicazione non verbale, la scelta dellinterpretazione diventa difficile. Non a caso oggi si tende a inserire nelle email degli strumenti di supporto alla corretta decodifica: gli emoticon, che in fondo non sono altro che dei surrogati della comunicazione non verbale che è venuta a mancare.





Anche lantica lettera cartacea presentava gli stessi limiti; tuttavia la lentezza di quella forma di comunicazione garantiva che il messaggio fosse sufficientemente meditato e quindi che fossero esclusi gli errori dovuti alla fretta. Inoltre, sempre la lentezza del mezzo consentiva di prendere distanza dalle emozioni che il messaggio veicolava. Oggi tutto è accelerato. Non si riesce in alcun modo a distanziarsi dalle emozioni. Una semplice email al linterno di unorganizzazione può diventare la miccia che innesca dei forti conflitti se chi riceve il messaggio lo interpreta male.
Occorre di conseguenza che le persone si prendano la responsabilità della comunicazione. Bisogna essere sicuri non solo che il messaggio sia stato ricevuto, ma anche compreso in modo corretto. Latteggiamento dellio la mail glielho mandata, che si arrangi non basta più, se si vuole creare un ambiente organizzativo che sostenga le motivazioni. E comunque la comunicazione face-to-face va permessa e incoraggiata il più possibile. Più la comunicazione è ricca, minore sarà il rischio di essere fraintesi. In Alaska il livello di comunicazione era ridotto in modo drammatico dalla situazione logistica. Sul Denali i non detti ciò che non veniva chiarito finivano per diventare simili a uno dei pericoli più letali presenti in quellambiente: prendevano la forma di una valanga che aumentava di potenza man mano che cadeva, alimentando il conflitto e spazzando via tutte le relazioni. Far finta di niente, non affrontare i temi scottanti, evitare di parlare di cose potenzialmente fastidiose, sono comportamenti diffusi in molti gruppi per cercare di evitare le frizioni. In realtà questi comportamenti ottengono leffetto contrario: aumentano i conflitti e demotivano le persone. Solo alzando il livello della comunicazione si previene la creazione dei fantasmi. Ma una volta che questi ci sono e girano al linterno del gruppo, lunico mezzo per debellarli sta nel diffondere una cultura organizzativa che accetti e promuova lo scontro costruttivo: cioè il confronto, anche deciso, sulle idee, ma che si astiene sempre dallo scendere sul piano personale. Esperienze effettuate in molte aziende dimostrano che la cultura dello scontro costruttivo non abbassa, ma innalza la performance del gruppo.*
Ma torniamo alla nostra storia. Finalmente, il tentativo ebbe luogo: partito intorno alle 7 del mattino dal campo base a circa 2200 metri, Jean raggiunse il campo 4 (4300 metri) in tre ore e mezzo. Per inciso, gli alpinisti normali impiegano tre giorni. Un tempo straordinario, velocissimo, forse fin troppo veloce. Da qui Jean ha abbandonato gli sci per procedere a piedi lungo un ripido pendio di ghiaccio e lungo lesposta cresta che porta al campo 5 a quota 5200 metri. Dal campo 5 in poi Jean ha cominciato a pagare in termini di fatica cocente la velocità eccessiva tenuta fino a quel momento; e in alto si è improvvisamente alzato un vento molto forte. Jean è giunto al Denali Pass, il varco che incanala e amplifica i venti gelati provenienti dalle distese della Siberia. La sofferenza si è fatta ancora più forte, il passo più lento. Qui è diventato determinante un fatto avvenuto al campo 4: lì Jean aveva deciso di sbarazzarsi della
ricetrasmittente, nonostante le mie obiezioni documentate dalle riprese della telecamera fissa. (Mi sono sempre comunque sentito corresponsabile di questa follia. Forse avrei dovuto impormi, ma avevo valutato che stressare ulteriormente un atleta già al limite non fosse una buona idea.) Lasciare la radio fu una grave leggerezza, compiuta per risparmiare un peso di poco superiore al chilo. Mentre Jean era in crisi al Denali Pass, Patrick e Alain, le due guide
che lo attendevano nelle vicinanze della vetta, si sono preoccupate. A questo punto Jean era molto in ritardo rispetto ai tempi previsti. Non avendolo a vista, non potendo sentirlo alla radio, hanno cominciato a scendere per cercarlo pensando a un malore o peggio ancora. Nel frattempo il vento era aumentato e il freddo stava scaricando anche le loro radio rendendo lintera situazione potenzialmente catastrofica. Quando Jean fu finalmente raggiunto, erano passate circa sette ore dalla partenza e la vetta non distava più di due ore e mezzo: Jean era quindi in condizione per battere ampiamente il record di Kellogg. Tuttavia, valutata la situazione nel complesso venti fortissimi, atleta sfinito e radio scariche i tre decisero di fare dietrofront, convinti di poter effettuare un secondo tentativo nei giorni successivi. Il Creatore di Tempeste non ha poi permesso che questo secondo tentativo venisse realizzato: con il tempo stabilmente al brutto, ha costretto la squadra ad attendere e poi a ritirarsi al campo base quando ormai non cera più né cibo né combustibile. Il maltempo ha fatto slittare di qualche giorno anche latterraggio dellaereo che ci doveva prelevare. Ma il maltempo, in Alaska, è una presenza fissa, prevedibile. Attribuirgli il fallimento del record sarebbe troppo facile. Il record non è stato conseguito perché la spedizione era stata organizzata in modo troppo frettoloso, senza un adeguato lavoro di costruzione del gruppo e delle relazioni allinterno. E bastato un problema comunicativo per deteriorare le relazioni tra i membri. Le persone si sono demotivate e il livello di stress nel gruppo è cresciuto. Ne ha fatto le spese latleta, lanello più esposto. Una partenza così veloce e forsennata è il segno a mio parere di una perdita di controllo e di lucidità. La scelta di non prendere con sé la radio conferma questo sospetto. A poco è servita a consolarci la decorazione con cui la squadra è stata insignita dal Corpo dei Ranger americani per lattenzione dimostrata agli aspetti di sicurezza durante la spedizione.


* Kathleen M. Eisenhardt et al., How Teams Have a Good Fight, in Harvard Business Review, 1997.

mercoledì 20 aprile 2016

Presentazione ufficiale di ALASKA STRESS CHALLENGE

In una Torino primaverile e straordinaria, si è svolta ieri pomeriggio al Museo Nazionale della Montagna la presentazione ufficiale di ALASKA STRESS CHALLENGE.










Luigi Marconi, presidente di Soges ha introdotto e moderato la presentazione.














Sono stati illustrate le finalità di ricerca scientifica della spedizione e i programmi collaterali di ricerca. Non è stata risparmiata qualche frecciata al nostro stile di vita e alla mentalità predominante, che tanto si lamenta dello stress, ma non fa nulla per coltivare nelle nuove generazioni le capacità di fronteggiare le difficoltà.






Claudio ha poi illustrato gli aspetti tecnici e alpinistici della spedizione stessa.















Il tutto è terminato con un ricco buffet sulla terrazza al cospetto delle Alpi occidentali che si sgranavano sullo sfondo. Qui siamo stati vittima di Alessio Giachin Ricca che ci ha interrogati sul nome di ciascuna cima che appariva all'orizzonte. Abbiamo poi scoperto che si è trattato di un  basso espediente per tenere Claudio e me impegnati e lontani dalla buvette.

martedì 19 aprile 2016

Il mio amico Claudio


Ieri ho citato- a proposito di ALASKA STRESS CHALLENGE- il mio amico Claudio Bastrentaz.
Poi ho trovato questo vecchio video del 2007 che avevo girato per il CERISM (allora si chiamava CEBISM) e che mi serviva come materiale per i corsi con gli studenti. L’argomento erano gli aspetti mentali dell’alpinismo;  e gran parte del video è stato girato sotto forma di intervista, spesso in momenti di azione, a Claudio. Questo che viene riproposto qui ovviamente non è il video completo. Ma ci sono quasi tutti i pezzi dove Claudio appare. Le riprese sono state tutte girate da me, eccetto la scena con la discesa di sci estremo che è tratta da un suo documentario.

E si possono rinvenire alcuni tratti tipici di Claudio stesso: l’eloquio preciso ed esatto ai limiti della pedanteria anche quando sta stazionando nel bel mezzo di una goulotte a rischio di caduta massi (v. video); in un epoca di millanteria, la semplicità e la modestia a cui fa da contraltare un curriculum di salite impressionante –spesso in solitaria e\o invernale; infine, la capacità di rischiare rimanendo comunque consapevole dei propri limiti e del valore della vita.

In fondo Claudio è molto simile, per tanti aspetti, ad un altro personaggio che appare per un brevissimo istante in questo video: Bruno Brunod, qui ripreso per un attimo durante un test massimale effettuato in vista del record sul’Everest del 2005.


domenica 17 aprile 2016

Chi sono gli altri membri di ALASKA STRESS CHALLENGE


GABRIELA MONTI
Filmaker, allenatrice, Guida di canyoning e survival. Ha partecipato a spedizioni in Antartide, in Groelandia ed è una delle poche donne ad aver realizzato la traversata integrale dello Hielo Continental. Nel suo curriculum sportivo la traversata  invernale dello Yukon (Yukon Artic Ultra), PTL (più volte finisher) il Tor des Geants (Finisher 2012) e vari Raid Multisport internazionali. Girerà un documentario sulla spedizione




CLAUDIO BASTRENTAZ
Alpinista estremo e, di professione, allenatore di sciatori e Guida Alpina. Ha realizzato salite come la parete Nord del Cervino in solitaria invernale, il Changtse in solitaria, l’Everest senza ossigeno (2004) e con ossigeno (2005). Vanta uno dei pochissimi tentativi italiani allo spigolo Nord del K2. Premiato nel 2002 per l’”Impresa dell’Anno Internazionale della Montagna”.

FRANCO MORO
Manager di un’azienda chimica e appassionato alpinista. Condivide con gli altri membri della spedizione la passione per la montagna e l’interesse per le risorse che consentono agli individui di fronteggiare lo stress. Nel suo curriculum sportivo molte salite tecniche sulle Alpi e diversi trail lunghi, tra cui Tor des Geants e UTMB.


sabato 16 aprile 2016

Termopili di ghiaccio: la cronaca del tentativo di record del 2008 (parte 2)

Dal campo base, dove ci aveva scaricato un minuscolo aereo con gli sci al posto delle ruote, giungemmo dopo vari giorni di marcia al campo 5, lultimo. Ci inerpicavamo con le pelli di foca, legati in cordata, ognuno tirando la sua maledetta slitta carica allinverosimile. Lo scopo era quello di ispezionare lintero percorso almeno fino al Denali Pass, sopra il campo 5; e di montare ai campi intermedi le tende che avrebbero accolto gli incaricati dellassistenza e che in ogni modo sarebbero potute servire come riparo per latleta in caso di maltempo durante il tentativo. Raggiunto il campo 5, la squadra si divise in due gruppi. Jean e Daniel ritornarono al campo base in attesa del giorno ideale per il tentativo. Noi altri quattro ci fermammo per il momento al campo 4 a 4300 metri di quota, in una posizione protetta dalle intemperie e tale da permettere il contatto radio con il campo base.
Cominciammo a razionare il cibo: barretta + minestrina + pezzo di parmigiano di dimensioni minuscole + 1,5 litri di liquido, questo era il nostro pasto-tipo. Linsufficienza dellapporto calorico ci faceva patire più freddo del dovuto. Al linterno delle tendine, il cibo divenne largomento ossessivo di conversazione. La luminescenza delle aurore boreali faceva da contrappunto ai lamenti di Filippo che, da bravo ligure, magnificava nostalgicamente le virtù della cucina della sua regione. Il fantasma di Adolphus Greely cominciò ad annidarsi nei nostri sonni1. Lillusoria sfera del benessere, di ciò che noi diamo per scontato e acquisito definitivamente, si dissolse in fretta: il conflitto con la fame, non quello con la pancia troppo piena, tornava a rappresentare anche per noi la norma. E per di più le privazioni non erano controbilanciate da possibili consolazioni. Nessuno poteva tentare la salita in vetta come obiettivo personale, perché ogni giorno di bel tempo avrebbe potuto essere quello del record.
La grande difficoltà è sempre quella di individuare con anticipo il giorno con le condizioni meteorologiche adatte: nel caso di un record, il team di supporto deve poter organizzare al meglio i punti di assistenza, anche in prossimità della vetta. Ma nel nostro caso, le previsioni meteo locali elaborate e fornite dai Ranger del Parco Nazionale erano, per usare un eufemismo, abbastanza imprecise. Noi, membri della squadra di assistenza, ci eravamo già disposti a vuoto in un caso: partiti un giorno prima del tentativo, sistemati nei vari campi, eravamo dovuti rientrare al campo 4 con spreco di energia e calorie per larrivo del maltempo.

Valanga!


Avvolti nei sacchi a pelo, attendevamo una nuova possibilità, sdraiati giorno e notte in tendine troppo basse per starci in piedi. Fuori bufera e temperature polari. Razionamento del cibo, fame, freddo e attesa infinita di una finestra di bel tempo. Questa era la situazione al campo 4 dopo circa cinque giorni. Filippo ci paragonava agli opliti delle Termopili: capaci di mantenere la posizione nonostante i sacrifici. Scherzava, ma come è noto il motto di spirito esprime la percezione profonda degli eventi. Quel poco di resilienza che avevamo ci servì. Anche perché il malumore cominciava a serpeggiare e a dividere il gruppo in due fazioni nettamente contrapposte: quelli che stavano su, al campo 4, e quelli che stavano giù, al campo base.
Quelli sopra, stufi dellestenuante attesa, non vedevano lora che il tentativo di record avesse luogo: era lunico modo per tirarsi fuori da quella situazione di noia, abulia, fame e vaga inquietudine. Per quelli del campo base le condizioni giuste per il tentativo non si erano ancora presentate; e tentare un record con molta neve fresca sul percorso e tempo instabile sarebbe stato come sparare a vuoto lultima cartuccia. Per quelli sopra, i compagni del campo base erano diventati, secondo una sintetica definizione fra quelle più ripetibili, dei rompicoglioni egoisti che non hanno idea di che inferno sia qui e che si illudono ad aspettare una finestra meteo ideale che non arriverà mai. Per quelli sotto, noi del campo 4 eravamo invece dei rompicoglioni egoisti che non sono disposti a fare un minimo di sacrificio e che pensano solo a tornarsene a casa, e per questo vorrebbero che sprecassimo unoccasione unica in modo avventato.

Insomma, chi era sopra minimizzava laspetto meteo, enfatizzava i disagi e premeva affinché ci si desse una mossa. Chi era sotto frenava, sottolineando i limiti delle condizioni meteo, e sminuiva i disagi altrui chiedendo di attendere ancora. Laver lavorato poco sul gruppo, dando per scontate delle buone relazioni di base, cominciava a far sentire i suoi effetti. A questa situazione conflittuale si aggiunse un problema di comunicazioni. Le radio in nostro possesso si stavano inesorabilmente scaricando, anche a causa del freddo polare che abbatteva la carica delle batterie. Appena il sole faceva capolino noi provavamo a ricaricarle con i pannelli solari. Ma il sole era troppo mite e il tempo di esposizione troppo breve: lunico risultato tangibile era di rallentare un pochino linevitabile crollo delle batterie. Per questo si era deciso da subito appena i due gruppi si erano divisi di razionare non solo il cibo, ma anche le comunicazioni. Uno scambio di parole a inizio giornata, e uno alla sera prima di coricarsi. O meglio, prima di dormire: visto che coricati nei sacchi a pelo si stava comunque tutto il giorno. Fu allora che diventammo a nostra insaputa protagonisti di un esperimento di psicologia sociale. Un illuminante studio sulla comunicazione. In effetti la nostra situazione poteva essere concepita come uno straordinario laboratorio in cui due gruppi sotto stress e in conflitto tra loro avevano la possibilità di comunicare in modo estremamente ridotto. Ciò che il nostro esperimento ci ha permesso di verificare è che una comunicazione rarefatta, poco frequente, carente, lascia spazi vuoti che, al linterno dei gruppi, favoriscono la creazione di fantasmi, ovvero di interpretazioni della realtà scarsamente basate sui fatti, e spesso a sfondo paranoico2.
Lesempio emblematico è rappresentato da un episodio preciso: proprio a causa del rarefatto livello di comunicazione un gesto altruistico venne interpretato come un atto di aperta ostilità. In uno dei rari momenti di sole tra una perturbazione e laltra al campo 4, approfittammo per uscire dai sacchi a pelo e sgranchirci le gambe.

1 Adolphus Greely, esploratore polare e ufficiale del lesercito americano, fu il comandante della tragica spedizione polare della nave Proteus (1881-1884). Quando la terza spedizione di soccorso riuscì finalmente a raggiungere la Proteus a Cape Sabine, nel lestremo nord canadese, diciannove dei venticinque uomini erano morti di fame. Quasi subito, al ritorno dei superstiti negli Stati Uniti, si diffusero voci di cannibalismo da parte dei sopravvissuti. Greely stesso, insignito della Medal of Honor, e i suoi compagni smentirono sempre vigorosamente queste dicerie. Tuttavia, in uno studio recente due scienziati polacchi (J.M. We˛sławski e J. Legez˙ynska, Chances for Arctic Survival: Greely’s Expedition Revisited, in Artic, 55, 2002, pp. 373-379) hanno dimostrato, recandosi sul posto e alimentandosi con i crostacei come avevano fatto i sopravvissuti, che costoro non ce lavrebbero fatta senza che nella dieta quotidiana comparissero calorie da altre fonti. La locuzione nella dieta comparvero altre fonti caloriche è un elegante modo per dire che gli studiosi ritengono fortemente probabile il fatto che si mangiarono i compagni.

2 In questo contesto il termine .paranoico. anche se non fa riferimento alla paranoia come patologia psichiatrica vuole indicare interpretazioni dei comportamenti altrui in chiave di persecuzione, odio e attacco nei propri confronti che tutti più o meno occasionalmente diamo.


venerdì 15 aprile 2016

Termopili di ghiaccio: la cronaca del tentativo di record del 2008 (parte 1)

Avendo molto parlato in questi giorni del tentativo di record del Denali del 2008, mi è sembrato doveroso ripubblicarne la storia intera. Ecco il capitolo che ne tratta (diviso in tre parti), tratto dal mio libro "Perseverare è umano".





5.4. Le termopili di ghiaccio: un monito sulla comunicazione

Gli uomini del Soccorso Aeronautico
considerano il Denali alla stregua
del più feroce dei draghi: unico,
gigantesco, ingannevole. E sempre
potenzialmente fatale, perfino
per coloro che lo conoscono meglio
di chiunque altro.
Bob Dury, Una stagione da eroi

63° 410.2’’ N, 151° 026.64’’ W, Alaska, primavera 2008

Per me no, grazie.. Durante un pranzo di lavoro, il commensale di fronte a me respinge il piatto di lasagne che il cameriere gli porge. Sta seguendo una dieta, spiega. Il piatto fa dietro-front: viviamo un momento epocale nella storia della nostra specie. Non è da molto, infatti, che un essere umano possa permettersi di rinunciare a fare scorta di cibo. Accade in modo generalizzato solo da pochi decenni, e solo in limitate aree del pianeta. Ed è frutto di unattenzione univoca al benessere.. Una volta le priorità erano altre: evitare il malessere, cioè fame, freddo, sete, guerre, epidemie. Sopravvivere. Il fatto che troppo cibo potesse rappresentare un problema non era neanche lontanamente concepibile.

Oggi se si ha fame basta spalancare il frigo; se si ha sete basta aprire il rubinetto; quando si patisce il freddo (quasi mai) è sufficiente alzare il riscaldamento. Tutto ciò viene dato per scontato. Eppure non lo è affatto. Il benessere rappresenta una fragile, anomala, localizzata eccezione. Non ci vuole molto per rendersene conto. A me, tutto questo, fa venire in mente lAlaska. LAlaska è una delle tante strade per ritornare nel mondo reale. Ma procediamo con ordine. Dopo aver vinto il Trofeo Mezzalama, la gara di sci-alpinismo più prestigiosa al mondo, Jean Pellissier si permise una cena pantagruelica: a tavola cerano lui e i suoi amici storici, e nessuna portata subì laffronto toccato alle lasagne di cui sopra. Infatti lo sci-alpinismo consente di correre in salita con gli sci ai piedi, e poi di sciare in discesa: il consumo calorico è assicurato, gli atleti sono tutti magri, e il concetto di benessere viene più spesso collegato allentità del tasso alcolico nel sangue che alla silhouette... Ora che scei il... hic... più forte al mondo.... lo provocò Daniel ....scicuramente... hic... non puoi sciottrarti a tentare il record del Denali con gli sci!. Seguì un tintinnare di bicchieri e un coro generalizzato di Evviva!, segno che la sfida era accettata, senza dibattimento alcuno. Il lettore resterà comprensibilmente sconcertato. Dai precedenti capitoli avrà sicuramente capito che le decisioni sui tentativi di record nascono alla fine di un avveduto e prudente lavoro di analisi, simile agli studi prodotti dalla Nasa per i voli spaziali. Il tentativo di record allEverest era stato progettato nei minimi dettagli. Questa volta invece andò diversamente. La missione Denali Express non vide la luce grazie a un estenuante lavorìo delle aree frontali dei nostri cervelli. No, fu partorita direttamente dai fumi dellalcol. Di tutto questo naturalmente pagammo a caro prezzo le conseguenze.



La squadra organizzata per supportare Jean era composta da quattro guide alpine del Cervino (Daniel, Patrick,Alain, Laurent), oltre allamico Filippo e al sottoscritto. Assoldati in fretta e furia, senza il necessario processo di amalgama e preparazione. Il Denali o Mount McKinley cima culminante del continente nordamericano non presenta difficoltà tecniche particolarmente elevate. Situato in Alaska, è caratterizzato dalla presenza di ghiacciai immensi con campi base accessibili solo da piccoli aerei muniti di sci. Ha unaltitudine tutto sommato modesta (6200 metri) rispetto ai giganti himalayani; ma lambiente è estremamente severo e pone grosse difficoltà di tipo logistico. La vicinanza con il Circolo polare artico comporta temperature estreme, meteo imprevedibile con bufere improvvise che si scatenano con venti fortissimi. Non per nulla uno dei nomi indigeni del Denali significa Creatore di Tempeste. Al campo 5, per esempio, abbiamo perso una tenda dalta quota, sparita letteralmente nel nulla, spazzata dalle raffiche che, secondo la stima dei Ranger, si aggiravano sui 150 km/h. Era vuota, per fortuna...
Da queste parti la logistica è problematica perché gli alpinisti si devono trasportare tutto il carico (cibo, tende, combustibile) da soli: non ci sono né yak né sherpa. E se devi portarti tutto sulle spalle, significa che devi per forza limitare il carico. E di conseguenza si riduce anche lautonomia in termini di giorni di permanenza. Quando il cibo o il combustibile che alimenta i fornelli scarseggia, si deve fare dietro-front. Altrimenti il rischio è quello di entrare a far parte del paesaggio, sotto forma di scultura di ghiaccio. Si noti che il fornello non serve per cimentarsi nelle ricette dalta quota ma, più banalmente, è essenziale per poter sciogliere la neve e potersela bere. Lalpinismo alaskiano è generalmente molto più duro in termini di stress personale di quello himalayano e richiede molta più resilienza. Si sta sempre sul ghiacciaio. I campi, compreso il campo base, non sorgono su morene o su terreno asciutto, e le limitazioni del carico non permettono di portare tende mensa o tende collettive. Quindi o si sta allesterno oppure sdraiati nella tendina, come succede durante il maltempo, che qui è assai frequente.
A queste considerazioni generali si aggiunga che una spedizione finalizzata al conseguimento di un record deve comunque portarsi un carico quasi doppio rispetto a quello di una spedizione con lo stesso numero di membri orientata alla .semplice. salita in vetta. E questo perché in quasi ognuno dei cinque campi che costellano la via di salita, si deve lasciare una tenda per offrire assistenza durante il tentativo.

Inoltre ogni membro della squadra deve avere 
la propria radio; e ciò significa portarsi batterie e pannelli solari per la ricarica. Ma, soprattutto, una spedizione finalizzata al conseguimento di un record necessita di molto più cibo: bisogna infatti prevedere di restare parecchi giorni in più rispetto a una spedizione .normale., perché è fondamentale attendere la finestra meteo ottimale per il tentativo. Un record richiede condizioni migliori rispetto a una salita priva di particolari pretese. E può anche presentarsi levenienza di un secondo tentativo: quindi è molto probabile che il soggiornosi prolunghi.
Il record che Jean si proponeva di battere riguardava la West Buttress, la cosiddetta via normale di salita: ventisei chilometri di sviluppo dal campo base alla vetta, con un dislivello di oltre quattromila metri positivi. Il record attuale appartiene allo statunitense Chad Kellogg, che ha impiegato quattordici ore per la salita e quasi ventiquattro complessive tra salita e discesa.

(Nota: Kellogg non aveva usato sci, ma racchette da neve fino al campo 4)