sabato 16 aprile 2016

Termopili di ghiaccio: la cronaca del tentativo di record del 2008 (parte 2)

Dal campo base, dove ci aveva scaricato un minuscolo aereo con gli sci al posto delle ruote, giungemmo dopo vari giorni di marcia al campo 5, lultimo. Ci inerpicavamo con le pelli di foca, legati in cordata, ognuno tirando la sua maledetta slitta carica allinverosimile. Lo scopo era quello di ispezionare lintero percorso almeno fino al Denali Pass, sopra il campo 5; e di montare ai campi intermedi le tende che avrebbero accolto gli incaricati dellassistenza e che in ogni modo sarebbero potute servire come riparo per latleta in caso di maltempo durante il tentativo. Raggiunto il campo 5, la squadra si divise in due gruppi. Jean e Daniel ritornarono al campo base in attesa del giorno ideale per il tentativo. Noi altri quattro ci fermammo per il momento al campo 4 a 4300 metri di quota, in una posizione protetta dalle intemperie e tale da permettere il contatto radio con il campo base.
Cominciammo a razionare il cibo: barretta + minestrina + pezzo di parmigiano di dimensioni minuscole + 1,5 litri di liquido, questo era il nostro pasto-tipo. Linsufficienza dellapporto calorico ci faceva patire più freddo del dovuto. Al linterno delle tendine, il cibo divenne largomento ossessivo di conversazione. La luminescenza delle aurore boreali faceva da contrappunto ai lamenti di Filippo che, da bravo ligure, magnificava nostalgicamente le virtù della cucina della sua regione. Il fantasma di Adolphus Greely cominciò ad annidarsi nei nostri sonni1. Lillusoria sfera del benessere, di ciò che noi diamo per scontato e acquisito definitivamente, si dissolse in fretta: il conflitto con la fame, non quello con la pancia troppo piena, tornava a rappresentare anche per noi la norma. E per di più le privazioni non erano controbilanciate da possibili consolazioni. Nessuno poteva tentare la salita in vetta come obiettivo personale, perché ogni giorno di bel tempo avrebbe potuto essere quello del record.
La grande difficoltà è sempre quella di individuare con anticipo il giorno con le condizioni meteorologiche adatte: nel caso di un record, il team di supporto deve poter organizzare al meglio i punti di assistenza, anche in prossimità della vetta. Ma nel nostro caso, le previsioni meteo locali elaborate e fornite dai Ranger del Parco Nazionale erano, per usare un eufemismo, abbastanza imprecise. Noi, membri della squadra di assistenza, ci eravamo già disposti a vuoto in un caso: partiti un giorno prima del tentativo, sistemati nei vari campi, eravamo dovuti rientrare al campo 4 con spreco di energia e calorie per larrivo del maltempo.

Valanga!


Avvolti nei sacchi a pelo, attendevamo una nuova possibilità, sdraiati giorno e notte in tendine troppo basse per starci in piedi. Fuori bufera e temperature polari. Razionamento del cibo, fame, freddo e attesa infinita di una finestra di bel tempo. Questa era la situazione al campo 4 dopo circa cinque giorni. Filippo ci paragonava agli opliti delle Termopili: capaci di mantenere la posizione nonostante i sacrifici. Scherzava, ma come è noto il motto di spirito esprime la percezione profonda degli eventi. Quel poco di resilienza che avevamo ci servì. Anche perché il malumore cominciava a serpeggiare e a dividere il gruppo in due fazioni nettamente contrapposte: quelli che stavano su, al campo 4, e quelli che stavano giù, al campo base.
Quelli sopra, stufi dellestenuante attesa, non vedevano lora che il tentativo di record avesse luogo: era lunico modo per tirarsi fuori da quella situazione di noia, abulia, fame e vaga inquietudine. Per quelli del campo base le condizioni giuste per il tentativo non si erano ancora presentate; e tentare un record con molta neve fresca sul percorso e tempo instabile sarebbe stato come sparare a vuoto lultima cartuccia. Per quelli sopra, i compagni del campo base erano diventati, secondo una sintetica definizione fra quelle più ripetibili, dei rompicoglioni egoisti che non hanno idea di che inferno sia qui e che si illudono ad aspettare una finestra meteo ideale che non arriverà mai. Per quelli sotto, noi del campo 4 eravamo invece dei rompicoglioni egoisti che non sono disposti a fare un minimo di sacrificio e che pensano solo a tornarsene a casa, e per questo vorrebbero che sprecassimo unoccasione unica in modo avventato.

Insomma, chi era sopra minimizzava laspetto meteo, enfatizzava i disagi e premeva affinché ci si desse una mossa. Chi era sotto frenava, sottolineando i limiti delle condizioni meteo, e sminuiva i disagi altrui chiedendo di attendere ancora. Laver lavorato poco sul gruppo, dando per scontate delle buone relazioni di base, cominciava a far sentire i suoi effetti. A questa situazione conflittuale si aggiunse un problema di comunicazioni. Le radio in nostro possesso si stavano inesorabilmente scaricando, anche a causa del freddo polare che abbatteva la carica delle batterie. Appena il sole faceva capolino noi provavamo a ricaricarle con i pannelli solari. Ma il sole era troppo mite e il tempo di esposizione troppo breve: lunico risultato tangibile era di rallentare un pochino linevitabile crollo delle batterie. Per questo si era deciso da subito appena i due gruppi si erano divisi di razionare non solo il cibo, ma anche le comunicazioni. Uno scambio di parole a inizio giornata, e uno alla sera prima di coricarsi. O meglio, prima di dormire: visto che coricati nei sacchi a pelo si stava comunque tutto il giorno. Fu allora che diventammo a nostra insaputa protagonisti di un esperimento di psicologia sociale. Un illuminante studio sulla comunicazione. In effetti la nostra situazione poteva essere concepita come uno straordinario laboratorio in cui due gruppi sotto stress e in conflitto tra loro avevano la possibilità di comunicare in modo estremamente ridotto. Ciò che il nostro esperimento ci ha permesso di verificare è che una comunicazione rarefatta, poco frequente, carente, lascia spazi vuoti che, al linterno dei gruppi, favoriscono la creazione di fantasmi, ovvero di interpretazioni della realtà scarsamente basate sui fatti, e spesso a sfondo paranoico2.
Lesempio emblematico è rappresentato da un episodio preciso: proprio a causa del rarefatto livello di comunicazione un gesto altruistico venne interpretato come un atto di aperta ostilità. In uno dei rari momenti di sole tra una perturbazione e laltra al campo 4, approfittammo per uscire dai sacchi a pelo e sgranchirci le gambe.

1 Adolphus Greely, esploratore polare e ufficiale del lesercito americano, fu il comandante della tragica spedizione polare della nave Proteus (1881-1884). Quando la terza spedizione di soccorso riuscì finalmente a raggiungere la Proteus a Cape Sabine, nel lestremo nord canadese, diciannove dei venticinque uomini erano morti di fame. Quasi subito, al ritorno dei superstiti negli Stati Uniti, si diffusero voci di cannibalismo da parte dei sopravvissuti. Greely stesso, insignito della Medal of Honor, e i suoi compagni smentirono sempre vigorosamente queste dicerie. Tuttavia, in uno studio recente due scienziati polacchi (J.M. We˛sławski e J. Legez˙ynska, Chances for Arctic Survival: Greely’s Expedition Revisited, in Artic, 55, 2002, pp. 373-379) hanno dimostrato, recandosi sul posto e alimentandosi con i crostacei come avevano fatto i sopravvissuti, che costoro non ce lavrebbero fatta senza che nella dieta quotidiana comparissero calorie da altre fonti. La locuzione nella dieta comparvero altre fonti caloriche è un elegante modo per dire che gli studiosi ritengono fortemente probabile il fatto che si mangiarono i compagni.

2 In questo contesto il termine .paranoico. anche se non fa riferimento alla paranoia come patologia psichiatrica vuole indicare interpretazioni dei comportamenti altrui in chiave di persecuzione, odio e attacco nei propri confronti che tutti più o meno occasionalmente diamo.